Siamo tutti solidali con i pastori sardi. Dalla
loro c'è la solidarietà di praticamente chiunque.
In sostanza ogni litro di latte di capra o pecora
che questi pastori producono viene pagato circa 60 centesimi al litro dalle
industrie o caseifici che lo trasformano in formaggio. E l'opinione pubblica è
stata giustamente colpita dalle scene di decine di pastori che riversano
migliaia di litri di latte per le strade sarde. E da Giletti che ne versa un
goccino in studio.
"La
situazione sta colpendo tutta la Sardegna. Ormai sono tre giorni che abbiamo
bloccato la vendita, anche se molti pastori preferiscono sempre vendere a poco
piuttosto che non farlo"
Si capisce che 60
centesimi al litro non copre quasi nemmeno le spese di produzione di quel
latte. In alcuni casi si arrivava anche a 55 centesimi. E nonostante questo
ancora molti sono i pastori che, disperati, pur di mettersi in tasca qualcosa,
hanno deciso di continuare a mungere e vendere alle aziende. C'è caos, c'è
paura e c'è la forza di una coesione che comincia però già a sgretolarsi. E la
causa di tutto questo sapete di chi è? Del pecorino
romano.
Quel triangolo di pecorino a pochi euro che
prendete al supermercato per insaporire la vostra carbonara è la causa delle
proteste in Sardegna degli ultimi anni. È il punto di riferimento per il
prezzario del latte, proprio come era l'oro per l'andamento del mercato qualche
tempo fa.
Ma perché proprio il pecorino? Perché lo usano
tutti, piace all'estero e non costa niente. La cosa divertente che la DOP
del pecorino romano prende come primo territorio, prima del Lazio e di Roma, la
Sardegna tutta. Da sola la Sardegna riesce a soddisfare mercato locale,
nazionale e, in parte estero. Tra latte sardo e latte importato e quindi
trasformato.
La bolla economica del pecorino romano è molto
semplice: un anno si produce di più e invece di reinvestire nella filiera -
comprando macchinari nuovi, trattare nuovi accordi con la distribuzione -, si
prendono le eccedenze e si cede al gioco del mercato a ribasso degli Stati
Uniti. A loro il pecorino serve, piace, e appena hanno sentito che ce n'era di
più hanno pensato bene di chiederlo a prezzi stracciati. E le aziende casearie
sono state ben felici di acconsentire, date anche le penali ridicole che si
pagano per ogni kg di formaggio prodotto in eccesso. Roba come 0,016 centesimi
di multa. Ecco, tutto questo ha portato a un crollo vertiginoso del costo del
latte, a discapito dei contadini.
Quello
presente in Sardegna è un vero e proprio Cartello: una delle cose più giuste da
fare sarebbe l'autoproduzione
Quindi, per capirci qualcosa di più, ho contattato
una pastora sarda:
Felicia Vargiu abita e fa pascolare insieme al
compagno il proprio gregge dalle parti di Gonnosnò, in provincia di Oristano,
un paese di 700 anime circa. L'abbiamo contattata perché, oltre ad avere un
punto di vista diverso sulla questione, è anche uno dei pochi pastori che non
vende il suo latte per la produzione di Pecorino, ma è comunque lesa dal gioco
al ribasso.
"La
situazione sta colpendo tutta la Sardegna. Ormai sono tre giorni che abbiamo
bloccato la vendita, anche se molti pastori preferiscono sempre vendere a poco
piuttosto che non farlo", mi spiega Felicia, cercando di farmi capire
la questione della lotta che c'è, è forte, ma poco organizzata.
"Il problema è la mentalità dei sardi. Qui in
Sardegna abbiamo una grande quantità di formaggi, che vanno dal Fioresardo a
prodotti di nicchia. Noi per esempio andiamo in un caseificio che non tratta
per niente il pecorino romano. Quando dico che il problema è nella mentalità, è
perché in molti vanno dove c'è un porto sicuro. Ci si organizza solo per il
pecorino romano e si pensa solo a quello." Il punto è sicuramente che gli
industriali hanno da sempre fatto il loro gioco dettando legge sui prezzi di
mercato a cui i produttori dovevano sottostare senza poter dire nulla.
E poi,
ogni tanto, quando il prezzo è davvero troppo basso, si svegliano con delle
proteste. Una cosa simile era accaduta anche nel 2003 per esempio, quando
Cagliari era stata bloccata.
Ma non c'era a quel tempo sicuramente la portata
mediatica dei social.
"Quello presente in Sardegna è un vero e
proprio Cartello: una delle cose più giuste da fare sarebbe l'autoproduzione,
ma essendosi creato un mercato solo intorno a quello, autoprodurre
significherebbe in primo luogo non avere spazio per vendere."
La politica
in questo caso si è svegliata abbastanza in fretta, nella solita figura da eroe
poliziotto di Matteo Salvini che, dopo aver promesso viaggi, dialoghi, tavoli
di trattative come fosse la cosa più facile del mondo, è tornato a mani vuote.
"La politica si è alzata in piedi non appena i
pastori hanno detto che bloccheranno la democrazia durante le elezioni
regionali del 24 febbraio. Ma sono solo spaventati e fanno il gioco delle
industrie. Figurati che l'ultima proposta (dopo una richiesta di almeno 1 euro
da parte dei pastori) è stata di 72 centesimi al litro più degli incentivi da
dare per buona parte ai produttori di formaggi. Cioè, ancora una volta non si
ascolta il povero pastore.", mi dice ancora Felicia. "Questa è gente
che prende il latte da Romania e Bulgaria a due spicci per poi farci il
pecorino e spazzare così l'economia dei pastori sardi."
A questo punto, però, mi sono chiesto quale potesse
essere la vera soluzione del problema alla radice. Per averla ho sentito anche
un altro pastore, ma abruzzese. Gregorio Rotolo, una delle superstar dei
produttori di formaggio italiano. Volevo sentirlo per avere un parere esterno e
per capire quanto cambia dai pascoli sardi a quelli sulla penisola.
"Il problema sono le cooperative",
attacca Gregorio. "Se la smettessero di pensare che le cooperative siano
la cosa migliore non si andrà mai da nessuna parte. Com'è possibile che per
presentare un prodotto posso farlo solo se sono parte di un consorzio?"
Secondo lui c'è solo un modo per combattere tutto questo. "Sono, siamo
tutti vicini ai pastori sardi, ma la soluzione è quella di trasformare da sé i
propri formaggi. Produrre il latte e trasformarlo. So che non è facile perché
non puoi soddisfare il mercato interno e basta, ma se si trovasse un modo per
fare tutto da soli, allora si può essere davvero liberi. Così facciamo in
Abruzzo nella maggior parte dei casi, per dare un prodotto buono e per fare del
bene alla terra, che stiamo ammazzando".
Tra le altre cose, uno dei modi per sopravvivere
come pastore, mi diceva, è quello di non fare il pastore. Di non girare con le
capre, ma per l'Italia a sponsorizzarsi in tutti i modi.
Anche se il suo sogno
era stare al pascolo.
Forse è il caso anche di pensare che quel pecorino
romano ti risolve il pranzo, ma ormai non ha più sapore. Ormai è un prodotto
solo a base di sale, senza rischi, senza pretese, di cui per un po' possiamo
fare a meno. (Fonte: munchies.vice.com)
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