Si chiama «Pecorino romano Dop» eppure viene prodotto per il 97% in
Sardegna. Non solo, può sembrare una banalità ma è quantomeno curioso
che la sede del Consorzio del pecorino romano si trovi a Macomer, in
provincia di Nuoro.
«Una volta era a Roma», dicono dal Consorzio, che su tutto il resto della vicenda si trincera dietro un «no comment». Perché ormai si sta consumando una vera e propria battaglia tra il Lazio e la Sardegna con la Coldiretti regionale che chiede al Ministro delle politiche agricole di istituire la nuova Dop del cacio romano. Se la richiesta passasse si avrebbero a questo punto due dop di pecorino, una sarda e una romana. «Ma almeno – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – avremmo finalmente una filiera autenticamente nostrana e autonoma dalla produzione sarda».
La richiesta non è nuova, in verità, ha radici antiche ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per Granieri, è stata la dichiarazione del Consorzio riguardo il surplus produttivo di pecorino per l’anno 2016 pari al 30% quando, incalza Granieri, «abbiamo scoperto in realtà che il surplus è di appena il 10%». Questo gap tra quanto dichiarato e quanto effettivamente è stato l’eccesso di produzione avrebbe, secondo la tesi della Coldiretti, comunque ridotto il prezzo del latte penalizzando soprattutto il Lazio, in quanto sarebbero andati in fumo decine di milioni di euro di ricavi per allevatori e trasformatori romani.
E il Consorzio cosa risponde? Al momento la linea è quella di non non dichiarare nulla: «Il presidente è fuori Roma, quando e se riterrà, risponderà», ci dicono telefonicamente. Intanto il danno è fatto secondo la Coldiretti. Il sistema del latte ovino laziale, ricorda Granieri «è costituito da 3.000 allevamenti specializzati con una consistenza di 750mila capi e 359 imprese di trasformazione, di cui soltanto 3 accreditate a produrre pecorino romano Dop: numeri che certificano la subalternità del Lazio rispetto alla Sardegna, dove da sempre si fanno le scelte strategiche del comparto».
Non è una dichiarazione di guerra nei confronti dei sardi, ci tiene a sottolineare il presidente Coldiretti, piuttosto una richiesta legittima al ministro delle Politiche agricole soprattutto dopo le segnalazioni di sequestri di formaggi etichettati con la qualifica pecorino, peraltro denunciate dall’assessore regionale all’Agricoltura, Carlo Hausman, perché ritenuti lesivi della Dop, mentre si tratterebbe di marchi registrati, come la Caciotta Romana, che fanno da sempre parte del paniere dei prodotti tipici locali. Proprio una Dop sul cacio romano potrebbe essere il modo per restituire unicità alla produzione romana. Ma Granieri non si ferma qui: «Appare evidente che il Consorzio di tutela del pecorino romano Dop sia almeno distratto rispetto alle esigenze di tutela dei produttori laziali. Pensiamo ci siano gli estremi perché l’Antitrust disponga verifiche sulla correttezza delle comunicazioni dei quantitativi di latte e avvii controlli sulla correttezza dell’operato del Consorzio».
Intanto proprio il pecorino conquista la medaglia d’oro dei prodotti italiani all’estero nel 2015. Sarà anche per questo che è tra i prodotti più imitati e copiati. L’ultima analisi della Coldiretti conferma un balzo delle vendite del 23% sui mercati stranieri. A far la parte del leone sono gli Stati Uniti, che col +28% sono il principale mercato di sbocco del pecorino italiano. I numeri sono altrettanto positivi in Europa, con Gran Bretagna e Francia che vedono crescere le vendite del prodotto, rispettivamente, del 22% e 16%.
Numeri da pesare diversamente quelli relativi a due Paesi orientali: in Giappone si registra un incremento del 9%, importante vista la particolarità del mercato del levante, mentre in Cina siamo addirittura al 500%, ma va tenuto conto delle quantità ancora limitate. Una situazione che potrebbe anche migliorare con una più efficace azione di contrasto alle imitazioni, invocata dalla Coldiretti. Per dare un ordine di grandezza del problema, nei soli Stati Uniti si producono ogni anno oltre 20 chili di pecorino Romano e similari ottenuti non con latte di pecora. Le ottime performance del pecorino hanno riflessi postiti anche sull’occupazione. Coldiretti stima che circa duemila giovani abbiamo scelto come settore di lavoro quello della pastorizia, non solo tra chi ha deciso di continuare l’attività di famiglia, ma anche tra i tanti in cerca di una occupazione alternativa in un settore che, più che con la crisi, è alle prese con inefficienze e ritardi della burocrazia.
Criticità comuni all’intero agroalimentare made in Italy che, anche grazie all’aumento delle esportazioni di pecorino, nel 2015 è cresciuto del 7% fino a raggiungere il record di 36 miliardi di euro.
«Una volta era a Roma», dicono dal Consorzio, che su tutto il resto della vicenda si trincera dietro un «no comment». Perché ormai si sta consumando una vera e propria battaglia tra il Lazio e la Sardegna con la Coldiretti regionale che chiede al Ministro delle politiche agricole di istituire la nuova Dop del cacio romano. Se la richiesta passasse si avrebbero a questo punto due dop di pecorino, una sarda e una romana. «Ma almeno – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – avremmo finalmente una filiera autenticamente nostrana e autonoma dalla produzione sarda».
La richiesta non è nuova, in verità, ha radici antiche ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per Granieri, è stata la dichiarazione del Consorzio riguardo il surplus produttivo di pecorino per l’anno 2016 pari al 30% quando, incalza Granieri, «abbiamo scoperto in realtà che il surplus è di appena il 10%». Questo gap tra quanto dichiarato e quanto effettivamente è stato l’eccesso di produzione avrebbe, secondo la tesi della Coldiretti, comunque ridotto il prezzo del latte penalizzando soprattutto il Lazio, in quanto sarebbero andati in fumo decine di milioni di euro di ricavi per allevatori e trasformatori romani.
E il Consorzio cosa risponde? Al momento la linea è quella di non non dichiarare nulla: «Il presidente è fuori Roma, quando e se riterrà, risponderà», ci dicono telefonicamente. Intanto il danno è fatto secondo la Coldiretti. Il sistema del latte ovino laziale, ricorda Granieri «è costituito da 3.000 allevamenti specializzati con una consistenza di 750mila capi e 359 imprese di trasformazione, di cui soltanto 3 accreditate a produrre pecorino romano Dop: numeri che certificano la subalternità del Lazio rispetto alla Sardegna, dove da sempre si fanno le scelte strategiche del comparto».
Non è una dichiarazione di guerra nei confronti dei sardi, ci tiene a sottolineare il presidente Coldiretti, piuttosto una richiesta legittima al ministro delle Politiche agricole soprattutto dopo le segnalazioni di sequestri di formaggi etichettati con la qualifica pecorino, peraltro denunciate dall’assessore regionale all’Agricoltura, Carlo Hausman, perché ritenuti lesivi della Dop, mentre si tratterebbe di marchi registrati, come la Caciotta Romana, che fanno da sempre parte del paniere dei prodotti tipici locali. Proprio una Dop sul cacio romano potrebbe essere il modo per restituire unicità alla produzione romana. Ma Granieri non si ferma qui: «Appare evidente che il Consorzio di tutela del pecorino romano Dop sia almeno distratto rispetto alle esigenze di tutela dei produttori laziali. Pensiamo ci siano gli estremi perché l’Antitrust disponga verifiche sulla correttezza delle comunicazioni dei quantitativi di latte e avvii controlli sulla correttezza dell’operato del Consorzio».
Intanto proprio il pecorino conquista la medaglia d’oro dei prodotti italiani all’estero nel 2015. Sarà anche per questo che è tra i prodotti più imitati e copiati. L’ultima analisi della Coldiretti conferma un balzo delle vendite del 23% sui mercati stranieri. A far la parte del leone sono gli Stati Uniti, che col +28% sono il principale mercato di sbocco del pecorino italiano. I numeri sono altrettanto positivi in Europa, con Gran Bretagna e Francia che vedono crescere le vendite del prodotto, rispettivamente, del 22% e 16%.
Numeri da pesare diversamente quelli relativi a due Paesi orientali: in Giappone si registra un incremento del 9%, importante vista la particolarità del mercato del levante, mentre in Cina siamo addirittura al 500%, ma va tenuto conto delle quantità ancora limitate. Una situazione che potrebbe anche migliorare con una più efficace azione di contrasto alle imitazioni, invocata dalla Coldiretti. Per dare un ordine di grandezza del problema, nei soli Stati Uniti si producono ogni anno oltre 20 chili di pecorino Romano e similari ottenuti non con latte di pecora. Le ottime performance del pecorino hanno riflessi postiti anche sull’occupazione. Coldiretti stima che circa duemila giovani abbiamo scelto come settore di lavoro quello della pastorizia, non solo tra chi ha deciso di continuare l’attività di famiglia, ma anche tra i tanti in cerca di una occupazione alternativa in un settore che, più che con la crisi, è alle prese con inefficienze e ritardi della burocrazia.
Criticità comuni all’intero agroalimentare made in Italy che, anche grazie all’aumento delle esportazioni di pecorino, nel 2015 è cresciuto del 7% fino a raggiungere il record di 36 miliardi di euro.
Fonte: iltempo.it
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