FIUMICINO - Una storia comune, di quelle che a Fiumicino si sentono
spesso raccontare dai vecchi contadini: anziani col volto segnato dalle
rughe, ancora bruciati dal sole, dal cognome tipicamente veneto o
romagnolo, che costituiscono la memoria storica vivente di questo
territorio.
Scesi dal nord Italia, hanno dissodato e bonificato queste terre con la tenacia e la determinazione dei pionieri, trasformando paludi e campi incolti in centri d’eccellenza per l’agricoltura e l’allevamento. Tra i tanti Romolo Miotto, allevatore di origine veneta, che, nel dopoguerra, ottenne l’assegnazione di un terreno di 12 ettari a Testa di Lepre, ai tempi della Bonifica dell’agro romano e dell’Ente Maremma. Romolo è scomparso nel 2013, in questa terra dove ogni zolla potrebbe raccontare la sua fatica, il suo impegno, il suo sudore. E’ Fabrizio, suo figlio, a ricordare la sua storia: “Quando mio padre arrivò qui, a Testa di Lepre, l’insediamento rasentava la desolazione: terreni abbandonati, privi di servizi idrici ed elettrici.
Nessuna forma di telecomunicazione. Solo la sua tenacia, insieme a quella di tanti contadini, ha permesso lo sviluppo agricolo di queste terre, che raggiunse il culmine negli anni settanta, quando la centrale del latte e il caseificio erano nel pieno della produttività”.
Ed è vero. Grazie alla coesione e al lavoro delle comunità rurali tutto il territorio di Testa di Lepre sembrò rifiorire: vennero costruite decine di case coloniche, con stalle, porcili, pollai e letamai. Le case avevano rafforzato il legame con la terra, mentre la coesione sociale veniva garantita dalla presenza del borgo rurale, un piccolo centro di aggregazione, dove la presenza della chiesa, della scuola e della piazza offriva spunti alla vita comunitaria. Era l’epoca dei circoli giovanili e nel 1958 in quello di Testa di Lepre venne inaugurato un televisore. C’erano le feste della trebbiatura, il “Centro mobile di lettura”, un camioncino-biblioteca dotato di più di duemila volumi che raggiungeva i borghi rurali e prestava libri agli assegnatari, l’Ente Maremma organizzava corsi di agronomia e promuoveva la nascita delle cooperative. Nel 1960 circa un nono del latte che si consumava quotidianamente nella Capitale era fornito dalla centrale del latte testaleprina.
Alcune cooperative si specializzarono nella macellazione della carne – ancora oggi fiore all’occhiello di questa parte del Comune - aprendo piccoli mattatoi e partecipando a rassegne e mercati zootecnici. E la storia potrebbe concludersi qui, con un –meritato – lieto fine. Ma dobbiamo andare avanti, dobbiamo continuare.
“Quando subentrò il regime comunitario della distribuzione delle quote latte – prosegue Fabrizio – la nostra azienda entrò in crisi. Producevamo 1.200 litri di latte
Siamo rimasti con una piccola quota di produzione, ma in seguito, ad aggravare una situazione di per sé già difficile, sono subentrate alcune rigide norme igienico sanitarie che, seppur giuste nei fatti, hanno dato spazio sul mercato alla concorrenza sleale di prodotti provenienti da altri paesi, con regole sanitarie diverse e costi di produzione inferiori. Nel 2008 chiudemmo la stalla, per evitare la bancarotta”.
Parole amare quelle di Fabrizio, che raccontano una storia non diversa da tante altre storie economiche del nostro territorio. Anche se si fa un gran parlare di prodotti a km zero, di valorizzazione dell’economia locale, di filiera corta e di rapporto diretto tra produttore e consumatore, mancano i fondi e le iniziative a sostegno di un settore sempre più in crisi.
Molti altri allevatori locali sono stati costretti a compiere scelte simili, a chiudere o a ridimensionare le proprie aziende, colpiti non solo nell’economia, ma soprattutto nell’orgoglio di chi fa questo mestiere con una passione innata che, oltre del guadagno, si alimenta del piacere di produrre per la propria comunità un prodotto sano e di qualità.
Un prodotto che costituisce – questo sì – quella vera ricchezza da conservare e preservare per le future generazioni. Al giorno, siamo dovuti scendere fino a 100. Avevamo i vincoli di eccedenza sulla produzione, in pratica un vero e proprio blocco economico. Abbiamo tenuto duro per una decina di anni, poi siamo stati costretti a vendere la nostra quota ad una latteria in provincia di Cremona, dove l’amministrazione comunale dell’epoca aiutava gli agricoltori locali all’acquisto delle quote con un basso tasso di interesse.
QUEL LATTE CINESE MALDIGERITO - Il sindaco Montino è appena tornato dalle Cina. Il perché di questo viaggio a Pechino? Sembrerebbe che alcune aziende dell’Asia orientale siano interessate ad acquistare il latte locale, in modo particolare quello prodotto dagli allevatori di Testa di Lepre, per farne latte in polvere. Il viaggio del primo cittadino avrebbe quindi lo scopo di verificare la fattibilità di questo accordo commerciale. C’è chi incrocia le dita e spera che questo accordo sia il volano per risollevare l’economia locale e c’è chi - e sono i più – non ne vuole proprio sapere di vendersi allo straniero e intende preservare le eccellenze del territorio. Per gli allevatori messi in ginocchio dal prezzo irrisorio del latte, la soluzione per il rilancio del settore non sarebbe, infatti, il ‘guadagno facile’ dell’esportazione del latte in polvere – che minaccerebbe oltretutto la parallela industria di prodotti caseari - ma un politica di investimenti, di aiuti finanziari, di sgravi fiscali per favorire la commercializzazione del prodotto a km zero, in market comunali, senza l’aggravio degli intermediari. Forse del latte made in china, munto dietro casa.
LA NUOVA LEGGE REGIONALE - Proprio in questi giorni la Regione Lazio ha approvato, all’unanimità, la legge sulla ‘filiera corta’, un testo che mira a valorizzare i punti di eccellenza del territorio, tutelando la biodiversità e il rispetto dell’ambiente, in un periodo in cui i consumatori si fanno più attenti e consapevoli, la filiera corta potrebbe trasformarsi in una settore strategico per il rilancio dell’agricoltura locale.
Scesi dal nord Italia, hanno dissodato e bonificato queste terre con la tenacia e la determinazione dei pionieri, trasformando paludi e campi incolti in centri d’eccellenza per l’agricoltura e l’allevamento. Tra i tanti Romolo Miotto, allevatore di origine veneta, che, nel dopoguerra, ottenne l’assegnazione di un terreno di 12 ettari a Testa di Lepre, ai tempi della Bonifica dell’agro romano e dell’Ente Maremma. Romolo è scomparso nel 2013, in questa terra dove ogni zolla potrebbe raccontare la sua fatica, il suo impegno, il suo sudore. E’ Fabrizio, suo figlio, a ricordare la sua storia: “Quando mio padre arrivò qui, a Testa di Lepre, l’insediamento rasentava la desolazione: terreni abbandonati, privi di servizi idrici ed elettrici.
Nessuna forma di telecomunicazione. Solo la sua tenacia, insieme a quella di tanti contadini, ha permesso lo sviluppo agricolo di queste terre, che raggiunse il culmine negli anni settanta, quando la centrale del latte e il caseificio erano nel pieno della produttività”.
Ed è vero. Grazie alla coesione e al lavoro delle comunità rurali tutto il territorio di Testa di Lepre sembrò rifiorire: vennero costruite decine di case coloniche, con stalle, porcili, pollai e letamai. Le case avevano rafforzato il legame con la terra, mentre la coesione sociale veniva garantita dalla presenza del borgo rurale, un piccolo centro di aggregazione, dove la presenza della chiesa, della scuola e della piazza offriva spunti alla vita comunitaria. Era l’epoca dei circoli giovanili e nel 1958 in quello di Testa di Lepre venne inaugurato un televisore. C’erano le feste della trebbiatura, il “Centro mobile di lettura”, un camioncino-biblioteca dotato di più di duemila volumi che raggiungeva i borghi rurali e prestava libri agli assegnatari, l’Ente Maremma organizzava corsi di agronomia e promuoveva la nascita delle cooperative. Nel 1960 circa un nono del latte che si consumava quotidianamente nella Capitale era fornito dalla centrale del latte testaleprina.
Alcune cooperative si specializzarono nella macellazione della carne – ancora oggi fiore all’occhiello di questa parte del Comune - aprendo piccoli mattatoi e partecipando a rassegne e mercati zootecnici. E la storia potrebbe concludersi qui, con un –meritato – lieto fine. Ma dobbiamo andare avanti, dobbiamo continuare.
“Quando subentrò il regime comunitario della distribuzione delle quote latte – prosegue Fabrizio – la nostra azienda entrò in crisi. Producevamo 1.200 litri di latte
Siamo rimasti con una piccola quota di produzione, ma in seguito, ad aggravare una situazione di per sé già difficile, sono subentrate alcune rigide norme igienico sanitarie che, seppur giuste nei fatti, hanno dato spazio sul mercato alla concorrenza sleale di prodotti provenienti da altri paesi, con regole sanitarie diverse e costi di produzione inferiori. Nel 2008 chiudemmo la stalla, per evitare la bancarotta”.
Parole amare quelle di Fabrizio, che raccontano una storia non diversa da tante altre storie economiche del nostro territorio. Anche se si fa un gran parlare di prodotti a km zero, di valorizzazione dell’economia locale, di filiera corta e di rapporto diretto tra produttore e consumatore, mancano i fondi e le iniziative a sostegno di un settore sempre più in crisi.
Molti altri allevatori locali sono stati costretti a compiere scelte simili, a chiudere o a ridimensionare le proprie aziende, colpiti non solo nell’economia, ma soprattutto nell’orgoglio di chi fa questo mestiere con una passione innata che, oltre del guadagno, si alimenta del piacere di produrre per la propria comunità un prodotto sano e di qualità.
Un prodotto che costituisce – questo sì – quella vera ricchezza da conservare e preservare per le future generazioni. Al giorno, siamo dovuti scendere fino a 100. Avevamo i vincoli di eccedenza sulla produzione, in pratica un vero e proprio blocco economico. Abbiamo tenuto duro per una decina di anni, poi siamo stati costretti a vendere la nostra quota ad una latteria in provincia di Cremona, dove l’amministrazione comunale dell’epoca aiutava gli agricoltori locali all’acquisto delle quote con un basso tasso di interesse.
QUEL LATTE CINESE MALDIGERITO - Il sindaco Montino è appena tornato dalle Cina. Il perché di questo viaggio a Pechino? Sembrerebbe che alcune aziende dell’Asia orientale siano interessate ad acquistare il latte locale, in modo particolare quello prodotto dagli allevatori di Testa di Lepre, per farne latte in polvere. Il viaggio del primo cittadino avrebbe quindi lo scopo di verificare la fattibilità di questo accordo commerciale. C’è chi incrocia le dita e spera che questo accordo sia il volano per risollevare l’economia locale e c’è chi - e sono i più – non ne vuole proprio sapere di vendersi allo straniero e intende preservare le eccellenze del territorio. Per gli allevatori messi in ginocchio dal prezzo irrisorio del latte, la soluzione per il rilancio del settore non sarebbe, infatti, il ‘guadagno facile’ dell’esportazione del latte in polvere – che minaccerebbe oltretutto la parallela industria di prodotti caseari - ma un politica di investimenti, di aiuti finanziari, di sgravi fiscali per favorire la commercializzazione del prodotto a km zero, in market comunali, senza l’aggravio degli intermediari. Forse del latte made in china, munto dietro casa.
LA NUOVA LEGGE REGIONALE - Proprio in questi giorni la Regione Lazio ha approvato, all’unanimità, la legge sulla ‘filiera corta’, un testo che mira a valorizzare i punti di eccellenza del territorio, tutelando la biodiversità e il rispetto dell’ambiente, in un periodo in cui i consumatori si fanno più attenti e consapevoli, la filiera corta potrebbe trasformarsi in una settore strategico per il rilancio dell’agricoltura locale.
Fonte: www.civonline.it
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