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martedì 9 luglio 2019

GLI ALLEVATORI DEL TERREMOTO? OCCUPINO MENO SPAZIO DELLE FAMIGLIE...

I moduli assegnati prevedono metrature inferiori di quelle previste per le famiglie. «Una decisione dovuta alla fretta», spiega il capo della Protezione Civile che sta autorizzando soluzioni diverse, a patto di non gravare sui conti pubblici.

AMATRICE. Quanto spazio occupa una famiglia di tre persone con un lavoro qualsiasi? 60 metri quadrati, secondo i calcoli effettuati dalla Protezione Civile subito dopo il terremoto del 2016. E una famiglia di tre persone che vive di agricoltura o allevamento? 45 metri quadrati, quindici in meno di tutti gli altri. Secondo i tecnici del Dipartimento hanno meno vestiti? Meno mobili? Sono più magri perché vivono a contatto con la natura? Misteri della burocrazia e del dopoterremoto più pazzo degli ultimi decenni.
In realtà è solo colpa della fretta spiega Angelo Borrelli, capo del Dipartimento della Protezione Civile, arrivato quando tutto era già ormai deciso e assegnato ma pronto a intervenire per risolvere i problemi che si stanno creando. "La decisione è stata presa dalla Protezione Civile dell’Umbria – racconta – Mi dicono di aver preferito queste metrature perché si trattava di moduli già pronti per essere installati rapidamente e perché avrebbe dovuto essere una soluzione temporanea”.
Il temporaneo di questo terremoto sta diventando un tempo illimitatamente sospeso e senza scadenza. E la fretta sarà anche una possibile giustificazione ma sta di fatto che la scelta si è rivelata un clamoroso errore di valutazione e che il confronto tra allevatori e non allevatori mette tristezza. Nei Mapre da quasi tre anni gli allevatori con un nucleo familiare composto da tre persone si sono dovute accontentare di 45 metri quadrati di lamiera. Tutti gli altri, quelli che hanno chiesto le Sae, le casette di emergenza, hanno ottenuto 60 metri quadrati. Nel caso degli allevatori 60 metri quadrati sono stati considerati sufficienti per quattro persone. Evidentemente si pensa che abbiano esigenze diverse da quelle di tutti gli altri che nelle Sae in quattro hanno diritto a 80 metri quadrati. Per poter ottenere il lussuoso Mapre da 80 metri quadrati gli allevatori devono avere un nucleo familiare composto da almeno cinque persone. A tutti gli altri basta essere in quattro. In questa triste condizioni vivono 792 persone, secondo gli ultimi dati della Protezione Civile. 
Luca Angeli è un allevatore di Pieve Torina, nel Parco dei Monti Sibillini, lato delle Marche. Mille pecore e sessanta mucche e una tradizione di pecorini a latte crudo pluripremiati realizzati da oltre mezzo secolo dall’intera famiglia. Non hanno voluto fermarsi dopo il terremoto. Uno dei fratelli ha deciso di andare a vivere a Recanati, duecento chilometri di strada ogni giorno. Luca ha scelto di rimanere a vivere sul terreno dell’azienda. Divide il Mapre con la compagna e due figli, il primo di un anno e quattro mesi, la seconda di un mese. “Quando l’ho avuto mi sembrava di aver fatto dei passi da gigante rispetto alla roulotte dove ero rimasto per mesi. Dopo due anni lì dentro siamo disperati. In inverno non si vive senza la stufa accesa notte e giorno. Una notte abbiamo corso il rischio di morire tutti, le pareti si sono annerite di ossido di carbonio, per fortuna mi sono svegliato e ho fatto uscire tutti di corsa. D’estate la situazione è indescrivibile, un caldo infernale. I moduli sono stati costruiti con i pannelli delle celle frigorifere. Non capisco perché non ci abbiano dato le casette di emergenza che hanno dato a tutti gli altri. Perché ci hanno trattati da esseri inferiori? Facciamo gli agricoltori ma non è bello essere considerati l’ultima ruota del carro. Se fossi da solo potrei anche sopportare e andare avanti ma ho la mia compagna e i figli. Da padre mi faccio schifo da solo, non posso tollerare di far crescere due bambini così. Il più grande è stato ricoverato la scorsa settimana. Forse abbiamo sbagliato a metterli al mondo ma con la mia compagna ci siamo detti che non potevamo aspettare che le cose si rimettessero a posto perché avremmo corso il rischio di non poter mettere più su famiglia. Però è dura.  Io ho 37 anni e lei 28. Stiamo decidendo che fare, se rimanere o andare a vivere altrove come ha fatto mio fratello”.
Silvia Bonomi alleva da dieci anni solo pecore Sopravvissane, una razza che era stata sostituita in zona dalle pecore sarde ma che Silvia e pochi altri stanno recuperando. Ha un’azienda con il compagno a Ussita, nel Parco dei Monti Sibillini e un Mapre da quaranta metri quadrati da dividere in tre, stringendosi anche più di quanto non abbiano già fatto gli altri allevatori perché al momento dell’assegnazione non era stata calcolata la madre, che con lei ha il domicilio abituale. E quindi altri cinque metri quadrati in meno, per un totale di venti metri quadrati in meno rispetto a quelli ottenuti dagli abitanti delle Sae. Silvia, il compagno e la mamma che ha oltre settanta anni e le gambe molto malandate, hanno sopportato un inverno durissimo, ora hanno di fronte una lunga estate di caldo torrido nella lamiera del modulo prefabbricato ma potrebbero evitare di vivere lì dentro ancora un inverno. “Ci hanno promesso in regalo una casetta in legno di 60 metri quadrati”, annuncia. Dopo una lunga battaglia burocratica il 3 luglio ottiene l’autorizzazione a effettuare la sostituzione dal capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, a patto di pagare i lavori necessari per la realizzazione della platea su cui dovrà essere installata la nuova struttura. “E’ un po’ più grande di quella assegnata ma non ne faccio una questione di metrature, in questi casi ci vuole flessibilità pur mantenendo una giusta necessità di verificare le situazioni caso per caso. Ed è una soluzione che potrebbe essere adottata anche da altri allevatori se vengono rispettate le condizioni seguite anche in questo caso”, assicura Borrelli.  

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