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venerdì 9 febbraio 2018

Pensare alle api come “bestiame”, non come natura. Mettono a rischio gli impollinatori selvatici?


«Contrariamente alla percezione dell’opinione pubblica, i decessi nelle colonie di api  da miele sono un problema agricolo e non di conservazione», A sostenere questa tesi che mette in crisi le convinzioni di alcune associazioni ambientaliste è lo studio “Conserving honey bees does not help wildlife” pubblicato su Scienceda  Jonas Geldmann e Juan P. González-Varo del Conservation Science Group del Dipartimento di zoologia dell’università di Cambridge che sostengono addirittura che le api da miele (Apis mellifera) allevate «possono contribuire alla vera crisi della biodiversità in Europa: il declino degli impollinatori selvatici».
Geldmann e González-Varo sostengono che »Gli eventi “die-off” che avvengono nelle colonie di api allevate e tenute come bestiame non devono essere confusi con la crisi della conservazione dei drammatici declini in migliaia di specie di impollinatori selvatici»
Su Science i due ricercatori scrivono che nella comprensione da parte dell’opinione pubblica c’è una «mancanza di distinzione – alimentata da campagne di ONG e rapporti dei media sbagliati – tra un problema agricolo e un problema urgente di biodiversità. In effetti, le api domestiche contribuiscono in realtà alla diminuzione delle api selvatiche attraverso la competizione per le risorse e la diffusione delle malattie, con le cosiddette iniziative ambientali che promuovono la conservazione delle api nelle città o, peggio, nelle aree protette lontane dall’agricoltura, che probabilmente esacerbano la perdita degli impollinatori selvatici».
Le api da miele sono vitali per molte colture, ma lo sono anche gli impollinatori selvatici e alcuni studi suggeriscono che le specie selvatiche forniscono fino alla metà dei “servizi di impollinazione” necessari ai  tre quarti delle colture importanti a livello mondiale che richiedono l’impollinazione.
Ma produrre colonie di api per l’impollinazione delle colture è problematico: Geldmann e González-Varo ricordano che »Le principali colture a fioritura come la frutta e la colza fioriscono per un periodo di giorni o settimane, mentre le api domestiche sono attive da 9 a 12  mesi e si spostano fino a 10 km dai loro alveari.
Questo non toglie che sia gli impollinatori selvatici che quelli allevati siano vittime di pesticidi come i neonicotinoidi, così come di altri effetti antropogenici – dalla perdita delle siepi ai cambiamenti climatici – che negli ultimi decenni hanno portato alle morie molto pubblicizzate tra le api allevate e al declino delle specie di impollinatori selvatici di cui i media si occupano rarissimamente.
Geldmann dice che «I decessi delle colonie di api da miele sono probabilmente un “canarino nella miniera di carbone “che si rispecchia in molte specie di impollinatori selvatici. L’attenzione sulle api può aiutare a sensibilizzare, ma l’azione deve anche essere diretta verso le nostre specie minacciate. L’ultimo decennio ha visto un’esplosione della ricerca sulla perdita di api e sui pericoli posti alle colture. Eppure sono state fatte poche ricerche per comprendere il declino degli impollinatori selvatici autoctoni, compreso il potenziale ruolo negativo delle api mellifere allevate».
Geldmann e González-Varo raccomandano politiche per limitare l’impatto delle api domestiche allevate, compresi limiti delle dimensioni degli alveari, al trasferimento delle colonie per “inseguire” le fioriture delle diverse specie coltivate e maggiori controlli sugli alveari gestiti nelle aree protette. Raccomandazioni che mettono in dubbio alcune delle attività alla base della moderna apicoltura. Ma i due ricercatori concludono: «Le api da miele possono essere necessarie per l’impollinazione delle colture, ma l’apicoltura è un’attività agricola che non deve essere confusa con la conservazione della fauna selvatica».

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