Lì per lì non è bastato pensare alle leggi di
natura. Sono rimasti un po' tutti a bocca aperta di fronte alla fine di quella
colomba, proprio nel cielo di Piazza San Pietro. La più sfortunata tra le due
liberate dopo l’Angelus che l’altro ieri dalla finestra di Papa Francesco si è
lanciata nel suo ultimo volto, per essere ghermita da un gabbiano, in combutta
con una cornacchia.
La più candida tra le tradizioni trasformata in una
scena di caccia, con tanto di coda polemica. Ieri l’Enpa, l’ente nazionale
protezione animali, ha scritto una lettera aperta al Papa per chiedere di «non
utilizzare più gli animali e la loro vita per tradizioni ormai superate». Ma
per Enrico Alleva, etologo dell’Accademia dei Lincei, basta qualche piccolo
accorgimento per evitare che quelle colombe si ritrovino a svolazzare spaesate,
per poi finire tra le grinfie di qualche predatore.
Professor Alleva, che cosa è successo domenica a
San Pietro?
«Un evento banale e per alcuni aspetti non
particolarmente raro. Si osservano di continuo predazioni di gabbiani su
colombi urbani, soprattutto giovani attorno al mese di età, ovvero usciti da
poco dal nido, oppure individui malati, per esempio quelli molto magri perché
infestati da parassiti. È più raro che una cornacchia attacchi un colombo,
perché è una preda di dimensioni cospicue. Ma ci sono osservazioni di gattini
neonati attaccati da gabbiani e cornacchie in associazione».
È normale che questi uccelli si alleino per
predare?
«Molte specie animali si associano per sfruttare
meglio le risorse ambientali, soprattutto quelle nutritive. Per esempio una
rosetta di pane di solito viene attaccata prima dai passeri e da altri uccelli
con un becco conico e robusto, poi sbocconcellata dai colombi. Infine resta la
parte inferiore, dura e secca: ho osservato nel cortile della mia abitazione,
nei pressi dell’Università La Sapienza, cornacchie che prendevano questi dischi
secchi e duri e li bagnavano in acqua per renderli più facilmente ingeribili.
Insomma, la rosetta viene disintegrata da tre specie di uccelli».
La scena di caccia però ha fatto una grossa
impressione.
«Il caso del gabbiano è paradigmatico. Trattandosi
di una specie che vive sulle rive rocciose del mare si è specializzata anche
nell’aspettare uccelli di piccole o medie dimensioni che arrivano stremati dopo
le lunghe traversate migratorie. Nel caso delle quaglie migratrici, ad esempio,
i gabbiani le aspettano scrutando il mare, le avvistano da lontano, volano loro
incontro e poi le abbattono in acqua con un colpo secco d’ala. Una volta caduta
in acqua la quaglia, ormai incapace di volare, è facile da sopprimere ».
Ma come dice l’Enpa, il lancio delle colombe
condanna questi uccelli a morte certa?
«Quello che è successo in piazza San Pietro è che
le colombe, uscite improvvisamente alla luce e frastornate dal viaggio in
furgone, hanno mostrato un volo incerto, disorientato: i gabbiani le avranno
scorte e scambiandole per individui malati si saranno immediatamente gettati
all’inseguimento. Le cornacchie, che appartengono alle famiglia di corvi e che
fra gli uccelli insieme ai pappagalli sono i cervelloni, le avranno imitate. La
prossima volta bisognerà far riposare le colombe, magari dissetandole, e
monitorare il loro comportamento nelle ceste prima della liberazione. Di solito
i colombofili professionisti o semiprofessionisti, per esempio quelli che usano
i colombi viaggiatori per le gare, stanno ben attenti a evitare incidenti di
questo tipo. Nella mia esperienza i colombi viaggiatori rilasciati in una
foresta ben conosciuta da Papa Ratzinger, la Foresta nera, spesso sono vittime
dei rapaci astori, dei falchi dalle ali larghe e tozze che vivono nelle foreste
e che li decimano».
Fonte: www.unita.it
Fonte: www.unita.it
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